La brand equity è il valore di marca, un bene intangibile strettamente connesso con la forza che un brand esprime sul mercato. In ottica di marketing, la brand equity può essere definita come il patrimonio d’immagine che una marca ha saputo costruirsi nel tempo, “frutto dell’aggregazione di atteggiamenti e di comportamenti dei consumatori, dei canali distributivi e dei diversi influencer del processo d’acquisto che rafforzano i profitti futuri e il cash flow di lungo periodo” (Srivastava e Shocker, 1991). Lato consumatore, la brand equity è determinata e misurata in base agli effetti determinati dal marketing e unicamente attribuibili al brand; più nello specifico, corrisponde al capitale che un dato marchio ha accumulato grazie agli investimenti di marketing. In questo senso, diventa cruciale per le aziende il monitoraggio costante della brand equity, utilizzando modelli e misure che permettono al brand di adattare la propria strategia, di volta in volta, alle fluttuazioni del mercato in termini sia economici che sociali e alle oscillazioni di comportamenti d’acquisto dei consumatori.
In questo articolo approfondiremo:
Brand equity: il modello Aaker
Tra i primi modelli di brand equity sviluppati c’è quello dell’economista statunitense David Aaker che mette in evidenza come il valore della marca sia estremamente differenziante. Il modello di Aaker si basa su cinque aspetti fondamentali, vale a dire:
- Fedeltà dei clienti al brand (brand loyalty): è la fedeltà al brand che spinge il consumatore compiere acquisti frequenti e ripetuti. L’elevata fedeltà permette la stabilità del business e consente alle aziende di aumentare le proprie quote di mercato;
- Notorietà del brand (brand awareness): la awareness riguarda la misura in cui un marchio è noto o riconoscibile per un consumatore;
- Qualità percepita: più la qualità percepita è alta, più i consumatori saranno disposti a pagare per possedere un determinato bene o fare una migliore esperienza di brand;
- Associazioni di valori: tutto ciò che evoca sentimenti positivi, i vantaggi funzionali, sociali o emotivi di un bene;
- Altri asset e risorse riconducibili al brand: brevetti, marchi e rapporti di canale o partnership commerciali.
Aaker ha definito la brand equity come “l’insieme di asset legati al brand, al nome o al simbolo che accrescono o sottraggono il valore fornito da un prodotto o servizio all’azienda o ai clienti di quell’azienda”. Secondo Aaker la brand equity può portare o sottrarre valore all’azienda poiché sono questi asset che contribuiscono a interpretare, elaborare e immagazzinare grandi quantità di informazioni su prodotti e marchi. Allo stesso tempo, però, tali asset incidono sulla maggiore o minore sicurezza che il consumatore ha nel momento di compiere una scelta d’acquisto: sono le associazioni che il cliente fa relativamente a un brand che possono incidere sulla scelta d’acquisto. Da ciò si deduce che, più la brand equity di una marca è positiva, più i consumatori sono disposti a pagare per acquistare un bene per via del suo valore di marca.
Brand equity: la piramide di Kellerr
Esiste anche un ulteriore modello di brand equity teorizzato da Kevin Lane Keller, docente di Marketing alla Tuck School of Business al Dartmouth College, meglio conosciuto la piramide di Keller, articolata in 4 step:
- Creazione dell’identità del marchio: al fine di operare una distinzione serve segmentare il mercato, studiare i potenziali clienti per comunicare loro quei bisogni e quelle necessità che potrebbero essere soddisfatte con un dato prodotto.
- Definizione del significato del marchio: comunicare cosa il brand rappresenta, funzionalità, benefici e prestazioni di prodotti e servizi, focalizzandosi sul tipo di esperienza che si vuole comunicare.
- Analisi della risposta del cliente: le opinioni sono suddivise in quattro parametri, qualità, credibilità, considerazione e superiorità. A cui si aggiunge la sfera sentimentale, ossia ciò che il marchio evoca al cliente.
- Risonanza: l’ultimo livello e anche il più ambito perché è la reazione del cliente al marchio, un legame quasi affettivo. Affinché ciò sia possibile sono necessari 4 condizioni basilari: lealtà comportamentale, attaccamento attitudinale, senso di comunità e coinvolgimento attivo.
Le fasi in cui Keller ha suddiviso la sua piramide permettono agli addetti ai lavori di intercettare con largo anticipo desideri e bisogni degli utenti prima che effettuino un acquisto; questo modello, conosciuto come CBBE (Customer Based Brand Equity), è interamente incentrato sull’ottica dei consumatori ed aiuta i brand non solo ad anticipare i desideri della propria audience, ma anche di scoprire i punti deboli, quelli su cui è necessario lavorare. Secondo Keller, il fattore strategico fondamentale da considerare per lo sviluppo della brand equity è la conoscenza che i consumatori hanno della marca, ovvero la brand knowledge. Quest’ultima, intesa come la presenza nella memoria del consumatore di un brand e di una serie di associazioni correlate ad esso, si fonda su due dimensioni: la consapevolezza di marca (brand awareness) e l’immagine di marca (brand image). Inoltre, Keller definisce tre tipi di associazioni alla marca, con crescente livello di astrazione: gli attributi del sistema d’offerta, relativi al prodotto, come le caratteristiche tecniche o di design, o non relativi al prodotto, ovvero le caratteristiche del brand legate all’immagine dell’utilizzatore o ad occasioni d’uso; i benefici percepiti dal consumatore, riconducibili a ciò che il prodotto offre al consumatore, in termini di benefici relativi alle sensazioni ed emozioni provate dal consumatore quando acquista e usa il prodotto con brand; l’atteggiamento generale che il consumatore ha maturato nei confronti della marca.
Come costruire la brand equity
I modelli di Aaker e Keller sono quelli più famosi e, sicuramente, diffusi seppur ne esistano altri. In linea generale, per migliorare la brand equity è necessario:
- creare l’identità di marchio, assicurandosi che i clienti riconoscano la brand identity;
- raccontare la storia del brand: lo storytelling appassiona i clienti al brand, creando legami più duraturi;
- enfatizzare le associazioni di marca positive, garantendo l’effettivo impegno etico e sociale del brand anche attraverso testimonial di valore;
- costruire relazioni solide con i pubblici, tramite recensioni, influencer e survey.
Come misurare il valore di marca
È bene precisare che non esiste un’unica metrica univoca o coerente che le aziende possono utilizzare per misurare la propria brand equity. In generale, le metriche si suddividono in quantitative e qualitative. Nel primo caso, riguardano:
- Tasso di crescita: del brand e dei singoli prodotti;
- Sensibilità del prezzo, vale a dire l’elasticità del prezzo, ovvero il modo in cui i consumatori reagiscono alle oscillazioni dei prezzi;
- Quota di mercato che viene guadagnata sui competitor in un determinato lasso di tempo;
- Frequenza d’acquisto.
Da un punto di vista qualitativo, possono essere utilizzati:
- Sondaggi e richieste di feedback
- Creazione di focus group
- Monitoraggio del sentiment
La brand equity risulta fondamentale per qualsiasi marchio che voglia posizionare i propri prodotti e servizi sul mercato, attrarre nuovi potenziali clienti e investitori. Soprattutto per gli e-Commerce, che si trovano ad operare in un contesto particolare come quello digitale, in cui i consumatori si esprimono e si confrontano tra loro, attraverso le recensioni, la brand equity assume un’importanza strategica fondamentale.